Obesità e food addiction: individuati biomarcatori specifici

Obesità e food addiction: individuati biomarcatori specifici
A cura della Dr. Rossella Bossa, medico psicoterapeuta, Milano

La dipendenza da cibo (food addiction) sembra proprio essere un fattore che contribuisce allo sviluppo dell’obesità, soprattutto nelle donne. Lo hanno confermato di recente alcuni ricercatori canadesi, che hanno condotto uno studio sulle differenze bioumorali e metaboliche di soggetti obesi o in sovrappeso, affetti e non affetti da “food addiction”.

I ricercatori hanno individuato potenziali biomarkers (biomarcatori) che differenziano l’obesità associata a “food addiction” da quella senza “food addiction”. Nei due gruppi di pazienti, omogenei per età, indice di massa corporea (BMI) e attività fisica, sono stati valutati alcuni importanti parametri (ormoni e neuropeptidi) che regolano il comportamento alimentare, la sensazione di fame e sazietà e il metabolismo.

L’introito complessivo di calorie e l’apporto percentuale di calorie da grassi e carboidrati è stato superiore nel gruppo con dipendenza. Questi soggetti consumavano tendenzialmente cibi ad elevato contenuto di grassi saturi, zuccheri e sale, caratterizzati da notevole palatabilità (per es dolci, biscotti, patatine). Dal punto di vista del profilo endocrino e biochimico, il gruppo con “food addiction” presentava bassi livelli di TSH (ormone stimolante la tiroide), di TNF-alfa (una citochina con numerose funzioni tra cui quella di indurre anoressia), e di amilina (un ormone co-secreto con l’insulina, con attività di regolazione dell’assorbimento dei carboidrati, che determina sazietà), ma alti livelli di prolattina (PRL), rispetto al gruppo senza “food addiction”. Queste anomalie potrebbero costituire il profilo metabolico e ormonale dell’obesità con “food addiction”. In particolare, studi precedenti hanno dimostrato una correlazione tra bassi livelli di TSH, bassi livelli di TNF-alfa, alti livelli di PRL e diversi tipi di dipendenza (da alcool, cocaina, oppioidi); sembra che anche la “dipendenza dal cibo” possieda questa caratteristica.

Criticità

Questo studio è indubbiamente interessante, non solo dal punto di vista medico ma anche psicologico, in quanto mette in luce la complessa relazione con il cibo nei soggetti con problemi di sovrappeso e obesità. Tuttavia vi sono degli aspetti critici, evidenziati dagli stessi autori.

La “dipendenza da cibo” ancora non è una condizione clinica riconosciuta nella nosografia dei disturbi mentali (DSM 5), e a pensarci bene è una giusta considerazione, perché il cibo non è una vera e propria sostanza d’abuso, per lo meno nel senso tradizionale del termine. Una sostanza d’abuso per definizione non è necessaria alla sopravvivenza e se assunta determina in tutti i soggetti un’alterazione dei circuiti neuronali legati al piacere (sistema dopaminergico-mesolimbico), cui consegue la ricerca compulsiva della sostanza stessa (craving) e lo sviluppo della sindrome da astinenza in caso di mancata assunzione.

Allo stato attuale delle conoscenze, più che di una dipendenza, la “food addiction” potrebbe essere definita come una modalità disadattiva e incontrollata di assunzione di cibo. Questo accade perché il cibo non viene assunto per nutrirsi, ma per compensare stati emozionali negativi (emotional eating). Si viene così a determinare la ricerca compulsiva di determinati cibi, ad alto potere gratificante, e purtroppo con scarso valore nutrizionale (junk food).

Gli autori sostengono che studi futuri dovrebbero valutare i disturbi d’ansia e dell’umore nei soggetti obesi, in quanto molte alterazioni emozionali possono determinare un comportamento alimentare disadattivo e alcune modificazioni bioumorali come quelle riscontrate nei soggetti con food addiction.

In ogni caso, qualora si delineasse in futuro in modo preciso e scientificamente validato la “sindrome da dipendenza da cibo e la sua relazione con l’obesità, è importante non aspettarsi poi una pillola miracolosa che agisca sui parametri biochimici; la lotta all’obesità richiederà sempre un grande impegno e uno sforzo per cambiare certe abitudini scorrette.

Fonti

 

 

"Poter vivere una vita normale... non una vita a metà"

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